L’inflazione statunitense ha continuato a salire a maggio, con l’Indice core dei prezzi al consumo (IPC) in aumento dello 0,7% su base mensile e del 3,8% su base annua – il tasso annuo più elevato da oltre 25 anni. Comprensibilmente questo trend è motivo di preoccupazione tra gli investitori. Anche un’inflazione leggermente più elevata erode il valore reale dei rendimenti degli investimenti e spesso determina un aumento dei tassi d’interesse. Ma l’inflazione è destinata a restare elevata? Secondo noi no.
A nostro avviso questo balzo dell’inflazione è temporaneo. Ci aspettiamo che gli aumenti dei prezzi rallentino il passo nel corso dell’anno e che, con l’allentamento dei vincoli di approvvigionamento indotti dalla pandemia, l’offerta raggiunga la domanda, riducendo la pressione sui prezzi. Questa è la tesi dell’inflazione transitoria che abbiamo argomentato dal punto di vista macroeconomico.
Per verificare la nostra ipotesi, abbiamo tuttavia analizzato più attentamente i dati sottostanti, società per società, in modo da comprendere la tesi dal punto di vista microeconomico. I dati delle imprese potrebbero darci una versione diversa?
Elaborazione del linguaggio naturale: sfruttare il potere dei Big Data
Costruire una tesi microeconomica per l’inflazione è come esaminare ogni granello di sabbia in una spiaggia e poi riunire i dati per creare un’immagine del litorale. L’elaborazione di un insieme di dati tanto esteso richiede una soluzione basata sui Big Data. Nel nostro caso abbiamo utilizzato l’elaborazione del linguaggio naturale (NLP), che permette ai computer di dare un senso al contenuto di documenti scritti.
Abbiamo iniziato con un’analisi NLP di quasi 30.000 trascrizioni degli annunci sugli utili di 3.200 società statunitensi quotate in borsa. Abbiamo identificato tutte le discussioni dei management sull’inflazione, sui fattori trainanti dell’inflazione e sulle modalità di adattamento dei management team. Inoltre, abbiamo analizzato le parole e le espressioni utilizzate nei discorsi sull’inflazione in modo da comprendere i possibili effetti in termini di margine. Di seguito presentiamo gli esiti di tale ricerca.
In primo luogo, l’inflazione è stata citata tre volte più spesso a febbraio 2021 rispetto a gennaio 2021 e a febbraio 2020, poiché le pressioni sui costi hanno iniziato a calamitare l’attenzione dei management. I settori di beni di consumo e prodotti industriali sono quelli in cui l’inflazione è citata più frequentemente. Questo era prevedibile dato il maggiore impatto delle chiusure su beni e servizi.
In secondo luogo, al momento le società sembrano aver assorbito gran parte dell’aumento dei costi, evitando di trasferirlo sugli acquirenti. Lo vediamo nel contesto in cui si menziona l’inflazione che, nel complesso, propende verso un tono neutrale o negativo in termini di margine. Viceversa un tono positivo lascerebbe intendere che l’inflazione dei costi potrebbe essere trasferita ai consumatori sotto forma di inflazione dei prezzi.
In terzo luogo, i management team ritengono che gran parte dell’inflazione dipenda dalle perturbazioni nei mercati del lavoro e nella catena di approvvigionamento (cfr. Grafico). Dal nostro punto di vista, questo tipo di pressioni sarà temporaneo, dato il proseguimento delle campagne vaccinali, la riapertura delle scuole e il ritiro nei prossimi mesi dei sussidi di disoccupazione potenziati che porterà i lavoratori a reinserirsi tra la forza lavoro.