La fine del "Trump trade" osservata nelle ultime settimane ha spinto gli investitori a domandarsi in che misura questo sviluppo sia il risultato di una mossa tattica oppure il frutto di un'evoluzione che richiede un cambiamento strategico di prospettiva. Anche se il "Trump trade" non indica un fenomeno univoco e ben circoscritto, la concomitanza di azioni in ribasso, sottoperformance dei titoli USA rispetto a quelli europei, flessione delle criptovalute, performance deludenti delle Magnifiche sette e debolezza dei titoli finanziari statunitensi sembra indicare che gli investitori stiano abbandonando posizioni che si pensava avrebbero registrato un buon andamento sotto la presidenza Trump. (In questo elenco non abbiamo inserito la sottoperformance del dollaro USA, perché non era chiaro se la serie di politiche proposte da Trump fosse un supporto o meno per la valuta).
Per quanto il repricing delle ultime settimane possa risultare sconcertante, avendo comportato anche una notevole riduzione della leva finanziaria, siamo convinti che si tratti di una rotazione anziché di una vera e propria fuga dagli asset rischiosi. Questa rotazione si basa in parte sull'idea che le prospettive di crescita dell'Europa siano diventate più favorevoli rispetto a quelle statunitensi, ma riflette soprattutto la portata e la natura quasi unanime del sentiment pro-USA e anti-Europa presente all'inizio dell'anno. Questo sentiment si è manifestato nel volume senza precedenti dei capitali che hanno lasciato l'Europa per dirigersi verso gli Stati Uniti negli ultimi 12 mesi. È vero, l'oro ha guadagnato terreno durante il sell-off dei mercati del mese scorso, ma con un tasso di rendimento uguale a quello registrato successivamente alle elezioni (inoltre, il rialzo ha coinciso con l'indebolimento del dollaro, per cui il metallo ha subito una flessione in termini di EUR e GBP). In effetti, il deflusso di 5,5 miliardi di dollari dagli ETF su criptovalute e l'afflusso di oltre 11 miliardi di dollari verso gli ETF sull'oro osservato a partire dalla prima settimana di febbraio sono un esempio conciso della chiusura in chiave tattica di posizioni di Trump trade. Rileviamo inoltre l'assenza di segnali di erosione del sentiment nei confronti del credito, i cui spread hanno iniziato l'anno su livelli ristretti; una riduzione generalizzata del rischio, ove presente, sarebbe chiaramente visibile su questi mercati. Con questo non intendiamo prendere alla leggera le ripercussioni subite, ad esempio, dagli investitori con posizioni in leva al venir meno di trend come quelli che abbiamo osservato.
L'approccio della nuova amministrazione USA alla formulazione delle politiche economiche ha senza dubbio alterato profondamente la narrazione politica e geopolitica. Che dire, però, di quella relativa agli investimenti? Di fronte alla rapida successione degli annunci di policy, alcuni dei quali potrebbero cambiare con breve preavviso (ad es. quelli relativi ai dazi), nonché alla natura (come minimo) anticonvenzionale delle modalità di attuazione di tali misure, gli investitori si sentono come la Regina di Alice nel Paese delle Meraviglie, che ogni giorno doveva cercare di credere a sei cose impossibili prima di colazione. Riteniamo che questo nuovo approccio alle politiche economiche acceleri una serie di cambiamenti strutturali che definiranno un nuovo regime per gli investimenti, che altera le aspettative di lungo periodo rispetto alla norma degli ultimi decenni, senza tuttavia essere necessariamente ribassista.
In definitiva, dal punto di vista tattico, ci aspettiamo che le azioni globali offrano un rendimento positivo nel corso del 2025, ma con una volatilità molto più elevata. Il flusso di annunci su politiche economiche, dazi e controdazi è destinato a proseguire, con la possibilità che i mercati vadano incontro a un periodo faticoso. Probabilmente il mercato azionario era troppo fiducioso che la deregolamentazione avrebbe annullato l'effetto negativo dei dazi e di altre politiche. Se da un alto potrebbero ancora arrivare annunci normativi potenzialmente favorevoli per il mercato, dall'altro è presumibile che ne giungano anche di negativi, come quelli in materia di politiche migratorie. Dal punto di vista strategico, crediamo ancora nell'eccezionalità degli Stati Uniti, ma in chiave tattica i vantaggi relativi degli USA si sono indeboliti.
Geopolitica e recency bias
Pur non avendo dominato le discussioni con gli investitori, quanto meno negli Stati Uniti, il mutamento degli assetti geopolitici rappresenta probabilmente il cambiamento più importante delle ultime settimane. Il problema per gli investitori è che i mercati non sono in grado di prezzare efficacemente le questioni geopolitiche, come accade con altri eventi poco probabili ma potenzialmente catastrofici.
Un tema che pervade la nostra ricerca sull'asset allocation è l'idea che gli investitori debbano essere consapevoli del cosiddetto recency bias, ossia della tendenza a sovrastimare l’importanza degli eventi più recenti. È necessario rimuovere diversi livelli di questo bias, come si farebbe con gli strati di una cipolla. C'è il recency bias indotto dagli ultimi due anni di posizioni rialziste sui titoli tecnologici/momentum statunitensi nonché dal lungo periodo di inflazione latente, espansione della forza lavoro globale, crescita sostenuta e forte dinamismo dei profitti cominciato dopo il 1982. C'è poi il recency bias legato all'ordine mondiale postbellico dominato dagli Stato Uniti degli ultimi 80 anni. In tutta franchezza, crediamo che queste idee preconcette debbano essere abbandonate. Si può almeno cercare di misurare e prezzare le prime due, ma che dire dell'ultima? A nostro avviso si tratta di un'impresa impossibile, per cui sarebbe sbagliato introdurre tale considerazione quale ulteriore premio al rischio nel formulare una previsione sui mercati azionari. Una simile riduzione delle prospettive di lungo periodo per i rendimenti azionari potrebbe risultare errata per anni, e in ogni caso la sua entità non potrebbe essere stimata correttamente. Ciò non toglie che si tratti di un aspetto importante, specialmente per quanti hanno il compito di effettuare allocazioni a lungo termine.