Il vincolo della gestione del debito lascia prevedere una strategia di inflazione più elevata
Non crediamo possa sorprendere il fatto che riteniamo che l’età dell’oro dell’inflation targeting stia volgendo al termine. Troppi fattori alla base di quello scenario sono cambiati, senza contare che con l’inflazione al 2,0% sarebbe molto difficile gestire al meglio gli attuali livelli di debito.
Il vincolo della gestione del debito, d’altra parte, aiuta a comprendere il motivo per cui una diffusa giapponesizzazione è altrettanto improbabile. Infatti, a meno che i paesi non siano disposti ad accettare tassi d’interesse negativi perpetui, gestire un debito elevato in un contesto di inflazione zero e bassa crescita è un compito arduo. Inoltre, non è chiaro se vi siano altre democrazie che possiedano le strutture sociali coese e i livelli relativamente bassi di disuguaglianza che hanno permesso alla società giapponese di affrontare un periodo prolungato di stagnazione. La sfida politica sarebbe ancora più grande con il populismo in ascesa.
Restano così in ballo soltanto i due scenari a maggiore inflazione. Una crescita dei prezzi a doppia cifra sarebbe altamente dirompente, impopolare e, come dimostra la storia del Regno Unito, insolita. In assenza di supporto per livelli molto alti di inflazione, lo scenario degli anni ‘70 è a nostro avviso improbabile, anche se la crescita dei prezzi potrebbe raggiungere temporaneamente valori molto elevati durante la transizione da uno scenario all’altro.
Lo scenario che offre l’impianto migliore per i prossimi anni è quello emerso nel secondo dopoguerra. Allora la politica fiscale divenne dominante e il contenimento dell’inflazione passò in secondo piano, in quanto i governi cominciarono a perseguire obiettivi su più vasta scala e riteniamo che questo scenario possa ripetersi. Si faceva anche un ricorso diffuso a politiche finanziarie restrittive per la gestione del debito pubblico, sapendo che “la repressione finanziaria è più efficace nel liquidare i debiti se accompagnata da una dose stabile di inflazione”.* Fondamentalmente, come rilevato dall’ex presidente della Federal Reserve (Fed) Arthur Burns nel 1979,† l’inflazione a questi livelli è ancora sufficientemente bassa per essere considerata un prezzo “accettabile” da pagare per conseguire obiettivi sociali più estesi.
Saranno le scelte politiche a determinare il livello di inflazione
Questo significa forse che le banche centrali sosterranno con entusiasmo questo nuovo regime di inflazione moderatamente più elevata? È improbabile.
Diversi illustri economisti si sono pronunciati a favore di un innalzamento del target di inflazione e la stessa Fed ha adottato una nuova strategia di targeting dell’inflazione media, che tuttavia continua a porre enfasi sulle aspettative di inflazione a lungo termine. Focalizzandosi sugli obiettivi pubblicamente dichiarati, però, si perde di vista un punto fondamentale. Pochissimi episodi storici di inflazione elevata hanno preso le mosse da un tentativo esplicito di spingere i prezzi al rialzo. Piuttosto, l’inflazione è scaturita indirettamente durante il perseguimento di altri obiettivi di politica economica. Ci aspettiamo che nei prossimi anni avvenga la stessa cosa.
Proprio come negli anni ‘60 e ‘70, è difficile che le banche centrali possano evitare di essere coinvolte in queste mutevoli “correnti filosofiche e politiche”, come le chiamò Arthur Burns. La tentazione di piegarsi un po’ per assecondare i venti politici prevalenti e restare comunque in gioco sarà grande.
È improbabile che il nuovo andamento replichi esattamente lo scenario di inflazione a due cifre emerso negli anni ‘70. Un modello più probabile è invece quello della repressione finanziaria che ha tenuto banco dalla seconda guerra mondiale agli anni ‘60, anche se alcuni elementi del contesto di fondo sono oggi chiaramente diversi. La crescita economica, in particolare, negli anni dell’immediato dopoguerra era decisamente più sostenuta di quanto non lo sia ora e questo ha ripercussioni evidenti su alcuni di questi obiettivi alternativi. Tanto per citare un esempio, per far scendere i rapporti debito/PIL occorre che i tassi d’interesse siano più bassi e/o l’inflazione più alta di quanto non fossero durante il precedente periodo di repressione finanziaria. Queste considerazioni rafforzano quindi la nostra convinzione che, in definitiva, il panorama politico e le scelte politiche che questo comporta apriranno la porta a un aumento dell’inflazione.